Coding è cool per le ragazze


Intervista a Ashley Gavin, 27 anni, che insegna coding alle ragazze di Roma e New York: «Il gaming? non è solo per maschietti» (pubblicata originariamente su StartupItalia!)

“I’m a girl. Fuck the glass ceiling”. Ovvero “Sono una ragazza. Me ne fotto del soffitto di vetro” (del tetto alla carriera delle donne). Così si presenta su Twitter Ashley Gavin (@AshGavs), “Stand Up Comedian, Plaid Breasted Lesbird, & Celebrity Coding Instructor”. È una delle due istruttrici che da New York sono andate a Roma, lo scorso ottobre, per la settimana di corsi e hackathon (maratone di programmazione) dedicata alle ragazze delle scuole superiori e organizzata dalla Fondazione Mondo Digitale con l’aiuto dall’Ambasciata USA.

@AshGavs

Ashley e la sua collega Elizabeth Caudle, entrambe 27enni, erano “inviate speciali” di Girls Who Code, l’organizzazione fondata nel 2012 a New York da Reshma Saujani per “chiudere il gap sessista nel settore tecnologico, rompendo gli stereotipi secondo cui programmare è roba da uomini”.

4 mila ragazze presenti ai corsi di coding

Nei suoi seminari le ragazze di 13-17 anni imparano a scrivere programmi di software, disegnare siti Internet, creare applicazioni; imparano soprattutto che queste materie sono divertenti e accessibili non solo ai maschi fanatici di computer. Già 4 mila ragazze hanno frequentato questi corsi, a New York e in tutti gli States, e lo scorso ottobre anche 400 ragazze romane.

«Ashley ed Elizabeth sono state fantastiche a spiegare quanto può essere cool programmare – dice Mirta Michilli, 48 anni, direttore di Fondazione Mondo Digitale – la prossima estate manderemo tre nostre tutor ai corsi di Girls Who Code perché imparino come rendere appassionanti le lezioni. Poi terremo nostri corsi a Roma e in altre città».

Laureata in Computer science nel 2010, poi ingegnere di software al MIT, Ashley è stata la creatrice del curriculum di informatica per le ragazze adottato da Girls Who Code. Ora fa la consulente indipendente, sempre per la messa a punto e la gestione di corsi di programmazione nelle scuole.

Che differenza ha notato fra le ragazze italiane e quelle americane?, le chiedo. «Le americane di solito sanno già quale tipo di carriera vogliono fare – risponde Ashley – invece le ragazze a Roma sembravano non avere la più pallida idea. Ma il loro atteggiamento ha dei vantaggi: hanno la mente più aperta a provare cose nuove, compreso studiare informatica. L’altra differenza riguarda il modo di partecipare a una lezione: le studentesse italiane mi sono sembrate molto attente e disciplinate, abituate a uno stile molto formale di insegnamento. È stato difficile all’inizio far loro alzare le mani per parlare, farle dialogare con me, mentre gli studenti americani sono molto più attivi, ma anche meno disciplinati!».

Con l’informatica si può cambiare il mondo

Il livello di preparazione in matematica invece sembra uguale fra le ragazze romane e newyorkesi, dice Ashley. Come fa a coinvolgerle? «Il mio metodo ha due regole di base – spiega Ashley – la prima: la lezione deve essere divertente. La seconda: la lezione deve far capire che con l’informatica si può cambiare il mondo e si possono creare cose interessanti per gli altri. In un corso di letteratura e scrittura gli studenti che devono scrivere saggi spesso non vogliono condividerli con i loro compagni. Quando invece imparano a programmare per esempio un gioco, è naturale che lo facciano perché sia usato dagli amici e da chiunque».

Anche alle ragazze piacciono i videogames

Far creare giochi è il primo passo, il più facile, per insegnare a programmare. «È uno stereotipo che i maschi siano i più appassionati ai videogame – sottolinea Ashley – grazie agli smartphone, oggi anche le ragazze giocano tantissimo con le app». Lei si è appassionata ai computer e all’informatica da ragazzina.

«Avevo 13 anni e mi piaceva creare arte digitale sul mio pc – racconta Ashley – così ho imparato da sola – seguendo corsi online – a costruire siti Internet. Non è stato difficile, forse anche perché il web allora era più semplice di adesso, meno dinamico. A scuola ero nella media e non particolarmente brava nelle materie scientifiche. Anzi, alle medie superiori prendevo brutti voti in matematica. Fino a quando è arrivato un professore nuovo, che per la prima volta mi ha suggerito di seguire un corso facoltativo di informatica. E mi ha cambiato la vita! Sì, gli insegnanti sono davvero importanti».

Una vita tra coding e cabaret

Oltre a insegnare coding, Ashley fa cabaret (stand up commedian), una combinazione non comune (anche se non unica: il CEO di Twitter Dick Costolo ha fatto per anni cabaret a Chicago). «Come mai amo programmare e insieme fare cabaret? Boh, semplicemente sono bizzarra – risponde Ashley – ma le due attività si intrecciano. Applico l’informatica alle mie performance teatrali. Dalla computer science ho imparato che non bisogna mai elaborare supposizioni sulle cose che non conosci. Quindi non posso sapere che cosa è divertente per il pubblico se non studio le sue reazioni alla mie battute. Per questo registro tutti i miei show e ho scritto un programma che analizza gli applausi, la loro frequenza e intensità. Così capisco che cosa fa ridere la gente e posso organizzare al meglio il tempo a mia disposizione sul palcoscenico. Dall’altra parte saper intrattenere la gente mi aiuta a insegnare coding: se sei divertente, ottieni più attenzione dalla classe».

Un argomento caldo di discussione dalla Silicon Valley alla Silicon Alley all’Italia è il motivo per cui ci sono così poche donne nell’industria high-tech: è perché sono discriminate dalle startup maschiliste e in generale dall’ambiente tutto fatto di ingegneri maschi? Oppure perché poche donne scelgono informatica e ingegneria a scuola? «La risposta è complessa, non è tutto bianco o nero – dice Ashley – bisogna chiedersi perché le donne non vogliono entrare in questo campo.

La tecnologia non è un tabù, ma serve formazione

Se per i loro primi 18 anni non hanno mai sentito parlare di computer science e non sono mai state incoraggiate a scuola a seguire un corso di programmazione, si capisce che non possono sognarsi una carriera in questo settore. Per questo credo che bisognerebbe cominciare il più presto possibile a introdurre l’informatica a scuola: a sette anni, quando le bambine (e i bambini) non sono ancora condizionati dagli stereotipi».

Le donne hanno tutte le qualità per farcela, è convinta Ashley e per provarlo cita un fatto storico: «Durante la Seconda Guerra Mondiale in America erano loro che scrivevano i programmi di software nelle aziende, perché gli uomini erano al fronte».


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