In rete il business é donna


In Rete il business é donna? Ne ho parlato con Alessio Jacona, Monica Metha, Riccarda Zezza e Anna Elisabetta Ziri all’ Internet Festival organizzato a Pisa da Claudio Giua con la Fondazione Sistema Toscana di cui é presidente. Un grande evento, quest’anno alla terza edizione, che mostra quanto il tech sia sexy anche in Italia ormai.

Pisa Internet Festival Donne 11 ottobre 2013

(nella foto di Alessio, da sinistra: Anna, io, Riccarda e Monica)

   É vero che molte donne oggi usano Internet per fare business, ma sono perlopiú business tradizionali: invece di aprire un negozio per esempio vendono le stesse cose online, ha osservato Monica. Ma sono pochissime le donne che invece fanno davvero le imprenditrici con aziende ad alto potenziale di crescita usando le nuove tecnologie. Monica ha citato varie statistiche sconfortanti – le donne rappresentano solo il 3% di tutti i lavoratori nell’high-tech e solo il 3% degli imprenditori finanziati dal venture capital – e l’ha spiegato con i problemi nel conciliare famiglia-lavoro, che inducono la grande maggioranza delle donne, anche le piú qualificate, a ritirarsi a un certo punto dal mondo del lavoro; e con il bias dei finanziatori a favore degli imprenditori uomini.

   Secondo me c’é un altro problema: quello dello scarso incoraggiamento verso le ragazze perché studino le materie scientifiche e tecnologiche, quelle che gli americani chiamano STEM, science, technology, engineering and mathematics. Troppo poche studentesse intraprendono questi studi e quindi non stupisce che poi se ne vedano poche nelle startup. Per contrastare questa tendenza – ho raccontato – a New York l’anno scorso é nato il programma Girls Who Code (Ragazze che programmano software): un seminario di due mesi ospitato da aziende (la startup AppNexus nel 2012), in cui le ragazze di 13-17 anni imparano a scrivere programmi di software, a disegnare siti Internet, creare applicazioni; imparano soprattutto che queste materie sono divertenti e accessibili non solo ai maschi fanatici di computer. La seconda edizione, la scorsa estate, ha visto la partecipazione di 150 ragazze, che hanno studiato e lavorato nelle sedi newyorkesi di Cornell Tech, IAC, Goldman Sachs e AT&T. Girls who code non è solo un programma, è un movimento per chiude e il gap sessista nel settore tecnologico”, hanno spiegato le due organizzatrici Reshma Saujani e Kristen Titus alla grande festa che si è tenuta la sera del 22 ottobre 2012 al New York Stock Exchange per celebrare il successo della prima edizione e raccogliere altri fondi a sostegno dell’iniziativa.

   Elisabetta é “una ragazza che sa programmare”: é laureata in matematica e quando l’azienda in cui lavorava é fallita e non riusciva a trovare lavoro, con una socia ingegnere ha cercato il modo di sfruttare le proprie competenze. E l’ha trovato analizzando il problema che il marito avvocato aveva nel suo studio: la ricerca su documenti d’archivio, fatta normalmente in modi ultra antiquati. Per risolverlo Elisabetta e la socia hanno fondato Nemoris, un programma di archiviazione automatica e un motore di ricerca semantico che rende molto piú veloce ed efficiente la ricerca. Ora é un prodotto offerto non solo agli studi legali, ma anche a chi fa ricerca di personale e deve fare selezionare i curriculum vitae. “Ci siamo finanziate tutte con i nostri risparmi e tenendo al minimo i costi, anche perché abbiamo capito che la nostra startup, fondata da donne non piú giovanissime e con figli, era vista con un certo stupore dai potenziali finanziatori”.

   Per rompere gli stereotipi e cambiare gli schemi dell’organizzazione del lavoro Riccarda ha fondato Piano C: l’alternativa al Piano A – puntare tutto sulla carriera – e al Piano B, rinunciare al lavoro o diminuire comunque l’impegno lavorativo quando si hanno figli. “Il Piano C significa usare le energie femminili per cambiare le regole del mondo del lavoro”, ha spiegato Riccarda, che da due anni ha aperto uno spazio di co-working a Milano (300 metri quadrati) per donne e papá, che vi trovano non solo un ambiente “friendly”, con un “angolo bimbi”, ma anche servizi “salvatempo” (per convenzioni con i negozi del quartiere che consegnano gratis la spesa) e di formazione. Al momento ci lavorano 18 donne e due papá. Riccarda sta pensando di sviluppare un programma di formazione di leadership per donne che tornano a lavorare dopo la gravidanza, per trasformare quello che viene normalmente percepito come handicap – l’aver perso cinque mesi e oltre di lavoro – in un asset: secondo lei il mestiere di mamma implica qualitá da veri leader, che possono e devono esser sfruttate anche sul lavoro.  

   Alessio, l’ottimo conduttore del panel, ha osservato che ha avuto uno stile tipicamente femminile, molto collaborativo e pratico. Sono infatti sicura che ci terremo in contatto scambiandoci informazioni e idee fra l’Italia e New York.


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