Presidente della Camera Laura Boldrini & startup italiane a NYC


Aboliamo i notai in Italia, una “gabella” inesistente negli Stati uniti.  Smettiamo di parlare di precariato e capiamo che una startup ha bisogno di assumere e licenziare a seconda di come va il suo business, che può anche fallire, senza doversene vergognare. Le regioni e le altre pubbliche amministrazioni non devono selezionare gli imprenditori da sovvenzionare: i loro criteri non sono quasi mai meritocratici. Valorizziamo le risorse non utilizzate in Italia: facciamo hackaton dentro le fabbriche, dove i giovani possono inventare cose nuove.

Sono alcune delle idee e proposte emerse ieri durante l’incontro al consolato italiano a New York fra la Presidente della Camera Laura Boldrini e un gruppo di giovani imprenditori italiani che hanno (o stanno per avere) una startup operativa qui a NYC. Ecco i loro nomi, che noi di “Tech and the City” abbiamo contribuito a individuare: Silvia Bosio e Paolo Bonaccorsi di W-lamp, Claudio Carnevali di Open Picus, Sara Matiz di MAD-Matiz architecture & design, Elio Narciso di MobAVE e Talent Garden, Alberto Pepe di Authorea, Paolo Timoni de I Maestri, Manuel Toscano di Zago e Claudio Vaccarella di HyperTV.

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Nella foto, da sinistra, in prima fila: Letizia Airos di i-Italy, Sara Matiz, Natalia Quintavalle, Silvia Bosio, Laura Boldrini, Maria Teresa Cometto, Laura del Vecchio e Teresa Fiore. In seconda fila: Claudio Carnevali, Paolo Timoni, Paolo Bonaccorsi, Elio Narciso, Claudio Vaccarella e Alberto Pepe.

L’incontro è stato introdotto dal console generale di New York Natalia Quintavalle e ha visto la partecipazione anche di Laura del Vecchio dell’Italian trade commission e Teresa Fiore, titolare della cattedra Inserra in Italian and Italian American Studies della Montclair University (NJ).

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Nella foto, da sinistra: Natalia Quintavalle, Silvia Bosio, Paolo Bonaccorsi e Manuel Toscano.

“Considero parte del mio incarico capire la realtà degli italiani che vivono all’estero – ha detto Boldrini -. Vedo tanti talenti qui, che sono l’orgoglio del nostro Paese, ma vorrei anche capire che cosa si potrebbe fare per farli tornare in Italia. Per questo chiedo, secondo voi, che cosa non funziona in Italia?”. Per rispondere, ci sarebbero volute ore o giorni, qualcuno ha scherzato. Boldrini ha ascoltato per oltre un’ora, un segno positivo di attenzione verso queste nuove realtà, e ha anche invitato tutti a mandare idee e suggerimenti al suo sito, dove lo stesso giorno è uscito un mio contributo alla discussione. “Voglio rendere trasparente la Camera e aperta ai cittadini – ha aggiunto Boldrini -. Abbiamo già ospitato due giorni di hackaton, in cui gli sviluppatori hanno creato applicazioni che rendono i dati della Camera fruibili a tutti”.

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Nella foto, da sinistra: Laura Boldrini, Maria Teresa Cometto, Alberto Pepe e Teresa Fiore

Vaccarella ha spiegato che la sua società HyperTV mantiene la parte di ricerca & sviluppo in Italia, dove ci sono ottimi ingegneri e programmatori. “Ma le startup avrebbero bisogno di più flessibilità nell’impiego dei collaboratori – ha detto -, perché si sa che il loro business è volatile, con continui alti e bassi”.

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Nella foto, da sinistra: Laura Boldrini, Alberto Pepe, Teresa Fiore, Claudio Vaccarella e Claudio Carnevali

Timoni ha attirato l’attenzione sul costo del lavoro: “Io ho una società qui negli Usa e una in Italia. Cento euro di stipendio ai dipendenti costano alla società 118 euro qui, 158 in Italia”. Secondo Toscano il problema principale in Italia è il non riconoscimento del merito e del valore professionale delle persone.

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Nella foto, da sinistra: Paolo Bonaccorsi, Manuel Toscano, Elio Narciso, Sara Matiz, Paolo Timoni e Laura Boldrini

Bosio e Bonaccordi hanno raccontato quanto è stato semplice aprire la loro azienda a NYC, in tre giorni con la fotocopia di un documento d’identità e la carta di credito: “Qui il 90% delle nostre risorse sono dedicate alla nostra impresa, il 10% alla burocrazia, in Italia è il contrario”.

Narciso è d’accordo e propone in particolare di abolire il notaio, che in Italia è richiesto per ogni minima pratica aziendale e costa ogni volta 2 mila euro. Matiz ha sottolineato come in Italia manchi una cultura che accetti il rischio e la possibilità di fallire come parte della vita normale di un’impresa.

A proposito di burocrazia e ruolo del pubblico, Carnevali ha raccontato di aver rinunciato a chiedere un finanziamento dalla Regione Lazio, perché ottenere 100 mila euro avrebbe significato impiegare due persone per gestire la rendicontazione del finanziamento. Inoltre ha detto che a un concorso pubblico che premiava aziende innovative ha vinto la società Soldo di cacio, la cui “innovazione” sarebbe impacchettare il formaggio nella forma di un soldo. “Se questi sono i criteri di valutazione degli enti pubblici, meglio starne alla larga”, ha concluso Carnevali, che ha anche proposto di fare hackaton dentro le fabbriche italiane che non utilizzano pienamente le proprie capacità.

Le idee non mancano insomma e tutti sarebbero contenti di dare il proprio contributo al nostro Paese, per superare la crisi e rilanciare la crescita e l’innovazione. Chi ha orecchie per intendere…

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Ecco anche il bel post che la Presidente Laura Boldrini ha pubblicato sulla sua pagina Facebook:

<<Un cucchiaio per neonati da svezzare che non rilascia alcune sostanza tossica, una lampada di carta tagliata al laser, uno spazio co-working per sole start-up, un portale per distribuire prodotti di designer italiani in America. Sono solo alcune delle idee già avviate e di successo presentate ieri all’incontro al Consolato d’Italia di New York da un gruppo di giovani imprenditori italiani attivi nel campo delle nuove tecnologie.
Anche loro fanno parte della nuova emigrazione italiana. Ma forse chiamarli emigrati non rende bene l’idea del profilo di questi ragazzi e di queste ragazze. Molti di loro conservano legami forti con l’Italia, alcuni tornano regolarmente perché fanno del radicamento territoriale un valore aziendale. Teresa Fiore, studiosa dei nuovi flussi di immigrazione italiana negli Stati Uniti, anche lei presente, ha tenuto a sottolineare al riguardo che le categorie di ‘emigrato’ ed ‘immigrato’ non riescono più a descrivere il fenomeno della mobilità dei talenti italiani. I loro spostamenti non sono più biglietti di sola andata, ma sono circolari. Vanno, tornano e ripartono.
Purtroppo però le partenze restano sempre più numerose dei ritorni. Tra questi ragazzi sembra prevalere un senso di delusione verso il proprio paese, l’Italia, che non gli ha permesso di realizzare i loro sogni. A New York, invece, dicono di avere trovato un ambiente completamente diverso, dove basta una fotocopia del passaporto per fondare un’impresa e dove la burocrazia è amica. Ma non sono rassegnati. “L’Italia continua ad essere un paese amatissimo negli Stati Uniti, prova ne è che sempre più americani studiano l’italiano e il Made in Italy non ha perso valore”, dicono con un sorriso.
Li ho invitati a partecipare con le loro idee ai futuri BarCamp che si terranno a Montecitorio. Spero di rivederli presto. Le porte della Camera sono aperte.>>


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